Adone acceleratore di particelle per elettroni e positroni nei laboratori INFN di Frascati

Touschek, Adone e la corsa italiana alla fisica delle alte energie

Questa è la mia tesi di laurea in storia della fisica. Un lavoro di ricerca per il quale ho trascorso circa un anno della mia vita rinchiuso nel seminterrato del dipartimento di fisica della Sapienza, in mezzo ad un mare di polvere. Si tratta di un luogo bellissimo. È qui, negli archivi di Bruno Touschek, Edoardo Amaldi e Marcello Conversi, che mi sono appassionato a questa storia. È qui che mi sono emozionato per cose che mai avrei immaginato potessero farmi palpitare il cuore in questo modo: ritrovarsi tra le mani il quaderno di laboratorio di AdA, il primo prototipo di anello di accumulazione, scritto da Bruno Touschek, è un qualcosa di unico.

Qui sotto potete leggere il Prologo. Se poi deciderete di andare avanti, allora potete leggere e scaricare l’intero pdf.

ADONE: Storia dell’Anello di Accumulazione per Elettroni e Positroni di Frascati

Prologo

Ricostruire storicamente la storia di Adone, l’anello di accumulazione per elettroni e positroni entrato in funzione nei Laboratori di Frascati nel 1969, dopo ben nove anni di “gestazione”, significa raccontare tante storie in una.

La prima di queste storie riguarda Bruno Touschek, nato a Vienna il 3 febbraio 1921, figlio di Franz Xaver, un ufficiale dello Stato Maggiore dell’Esercito Austriaco che aveva combattuto sul fronte italiano durante la guerra del 1915-18, e di Camilla Weltmann. La madre di Touschek era ebrea e questo segnò indelebilmente la giovinezza del brillante ragazzo austriaco a cui, nel 1937, venne impedito di continuare a frequentare la scuola a causa del suo sangue misto. Touschek riuscì comunque a diplomarsi nel febbraio del 1938 e subito cercò di ottenere il visto d’ingresso in Gran Bretagna con lo scopo di andare a studiare chimica a Manchester. Era l’autunno del 1939, il patto Hitler-Stalin sancì l’inizio della seconda guerra mondiale, la Polonia venne invasa dalle armate russe e germaniche. Con la guerra in atto subito svanirono le speranze di un suo trasferimento e Touschek dovette rimanere a Vienna dove, senza dare troppo nell’occhio, cominciò a frequentare i corsi di fisica e matematica, e subito si distinse per essere il migliore del corso. Ma anche questa volta gli venne impedito di proseguire i suoi studi per ragioni razziali e, nel giugno 1940, venne cacciato dall’università di Vienna.

Dopo poco tempo Touschek riuscì a trasferirsi ad Amburgo dove, per mantenersi, svolgeva fino a quattro o cinque lavori contemporaneamente e, nel poco tempo libero, frequentava in forma non ufficiale i corsi di fisica all’università.

Ad Amburgo, Touschek aveva preso l’abitudine di frequentare la sede della Camera di Commercio, che disponeva di una sala dove era possibile leggere molti giornali stranieri. In questo modo, presto le attenzioni della Gestapo si concentrarono su di lui che venne arrestato all’inizio del 1945 per ragioni razziali e rinchiuso nel carcere di Amburgo.

Tra la fine di febbraio ed i primi di marzo del 1945 arrivò l’ordine di trasferire i prigionieri dal carcere di Amburgo ad un campo di concentramento a Kiel. Touschek, nonostante avesse la febbre molto alta, fu comunque costretto ad uscire dal carcere. Portava con sé il suo pesante pacco di libri, dal quale non si separava mai. I prigionieri marciavano in fila indiana scortati dagli agenti delle SS e, una volta arrivati alla periferia di Amburgo, Touschek fu preso da un malore e cadde privo di sensi nel canale a lato della strada. Un agente delle SS non ci pensò due volte, estrasse una pistola e gli sparò in testa. Credendolo morto, lo lasciarono lì, mentre la colonna di prigionieri proseguiva la marcia. In realtà il proiettile aveva provocato solo una ferita dietro l’orecchio di Touschek, il quale riuscì a rialzarsi e a raggiungere un vicino ospedale, dove fu prima medicato e poi nuovamente arrestato e rinchiuso nel carcere di Altona. Dopo altri tre mesi di prigionia, Touschek fu definitivamente liberato nel giugno del 1945.

Bruno Touschek Adone e la storia degli anelli di accumulazione

Bruno Touschek

Gli orrori della guerra e le follie delle leggi razziali non riuscirono così ad interrompere prematuramente l’avventura umana e scientifica di Bruno Touschek, un’avventura che, come vedremo, segnò profondamente lo sviluppo della fisica delle particelle.

Proprio da una sua geniale idea, all’inizio del 1960 a Frascati, inizia la storia degli anelli di accumulazione. L’idea oggi può sembrare banale ma all’epoca, quando le macchine acceleratrici “sparavano” particelle contro un bersaglio fisso, non lo era affatto. La considerazione cinematica è molto semplice: due treni che si scontrano viaggiando l’uno contro l’altro con velocità opposte al momento dell’urto rilasciano molta più energia di un treno che si schianta contro un muro. Di conseguenza, è molto più conveniente far collidere due fasci di particelle che viaggiano con velocità uguali e opposte piuttosto che far urtare particelle contro un bersaglio fisso.

L’idea in realtà non era del tutto nuova: Rolf Wideröe già nella tarda estate del 1943[1] cominciò a pensare ai vantaggi cinematici di urti frontali fra protoni e poco tempo dopo ne discusse con Touschek, che trovò la cosa “evidente” e “triviale” e per questo tentò di dissuaderlo dal brevettare l’idea. Tuttavia nel maggio del 1953 Wideröe riesce ad ottenere il suo brevetto[2], nel quale discute l’urto fra particelle uguali (protone-protone), diverse (protone-deutone) o dotate di carica opposta (elettrone-protone).  

Nel 1956 negli Stati Uniti vengono pubblicati due articoli (Kerst & al., 1956) (O’Neill, 1956) che espongono gli stessi vantaggi cinematici già pensati da Wideröe ma considerando solo il caso degli urti e + e ottenuti con pacchetti di elettroni circolanti in senso opposto in due anelli magnetici tangenti uno all’altro (O’Neill, 1956b). Proprio su proposta di O’Neill, a Stanford cominciarono subito a costruire una macchina di questo tipo (Barber, et al., 1959) che fu la prima in grado di produrre risultati scientifici interessanti sull’urto e + e (Barber, et al., 1966).

Touschek però non era affatto convinto che l’urto fra due particelle con stessa carica fosse il meglio che la fisica potesse produrre e subito si discostò da questa linea di ricerca promossa principalmente a Stanford da Panoksky, Richter e O’Neill. Al termine della relazione tenuta da Panofsky a Ginevra nel 1958 (Panofsky, 1958), Nicola Cabibbo ricorda così la reazione che ebbe Touschek[3]:

“Ah, ma perché non fare elettrone-positrone, sicuramente è più interessante perché elettrone e positrone si possono annichilire. Ma poi è anche più pratico, perché elettrone e positrone possono girare in uno stesso anello e non hanno bisogno di due anelli”.

 

Touschek aveva colto i notevoli vantaggi che il sistema elettrone-positrone avrebbe potuto fornire: essendo dotato degli stessi numeri quantici di un bosone neutro, ad alte energie sarebbe potuto diventare una sorgente di nuove particelle, utile per lo studio delle interazioni forti e dell’elettrodinamica. Touschek voleva depositare una grande quantità di energia nel vuoto e “il vuoto ci dirà su quali frequenze preferisce vibrare” (Bernardini, 1997). Le condizioni iniziali con carica totale zero e numero barionico e leptonico nulli sarebbero state le migliori possibili da cui partire. La produzione di uno stato di “pura radiazione” tramite il “fotone virtuale” avrebbe consentito la nascita di qualsiasi particella elettricamente carica. Tutto dipendeva dall’energia disponibile: in linea di principio la collisione avrebbe potuto fornire ogni forma di materia possibile. In questo modo Touschek aveva aperto una strada del tutto nuova con un’idea concettualmente del tutto diversa.

In tanti continuarono a non credere nella realizzabilità degli anelli di accumulazione. Sembrava impossibile riuscire a far circolare elettroni e positroni in un unico anello, in direzioni opposte e sulla stessa orbita. Ma Touschek non aveva dubbi e insisteva sull’invarianza CPT, che avrebbe garantito la stessa orbita per particelle uguali ma con carica opposta.

Fortunatamente nei Laboratori di Frascati si convinsero immediatamente che la strada indicata da Touschek era quella da seguire e con la costruzione del piccolo AdA  mostrarono al mondo intero quale dovesse essere la via maestra. Come scrive Wideröe[4]:

“E’ stato dopo che Touschek aveva rotto il ghiaccio con il suo piccolo AdA, e dopo con Adone, che i fisici hanno mostrato interesse per questo principio. Oggi esso costituisce una delle vie principali per lo studio delle particelle elementari”.

AdA permetteva di raggiungere un’energia massima nel centro di massa di 400 MeV. La stessa energia, nel caso di un urto contro un bersaglio fisso, si sarebbe potuta raggiungere solo con un fascio di positroni con energia di 160 GeV.

In un discorso tenuto il 29 gennaio 1954 ed intitolato What can we learn with High Energy Accelerators?[5], Enrico Fermi espone il suo tentativo di estrapolazione della massima energia raggiungibile con le macchine acceleratrici, immaginando l’utilizzo di un anello che circondi l’intero pianeta e prevedendo un ragionevole sviluppo della tecnologia dei magneti. Fermi, in questo modo, stimava di poter accelerare una particella fino ad un’energia pari a 5 milioni di volte la massa del protone e, nell’urto contro un bersaglio fisso, produrre una massa effettiva pari a circa 3000 volte la massa del protone, ovvero un’energia di circa 3 TeV. La tecnologia degli anelli di accumulazione, ideata nei Laboratori di Frascati prima con AdA e poi con Adone, ha permesso di raggiungere una massa effettiva pari a 2000 volte la masse del protone con il Tevatron di Chicago, con una circonferenza di circa 6 Km, mentre il Large Hadron Collider del CERN raggiungerà fra pochi anni le 14000 masse del protone con una circonferenza di “soli” 27 Km. Nulla rispetto a quello che Fermi immaginava. Un’infinità rispetto ai 10 m di AdA.

Enrico Fermi ipotizza la massima energia raggiungibile con un accelertore di particelle costruito intorno alla Terra

Il “Globatron”, slide n. 2 di Fermi durante il suo discorso a Chicago. Fonte: University of Chicago Libraries

La notizia dell’accumulazione delle prime particelle nella “ciambella” di AdA in un attimo fece il giro del mondo. Ovunque pensarono “Allora è possibile!”. Così cominciò la corsa alle alte energie tramite i “civili” elettroni, che per parecchi anni relegarono in secondo piano quella “teppa adronica” tanto confusionaria. In Francia, in Unione Sovietica, negli Stati Uniti, in Germania e al CERN si cominciarono a progettare anelli di collisione via via sempre più grandi. Ma i primi a crederci, anche questa volta, furono i fisici di Frascati. La progettazione di Adone iniziò alla fine del 1960.

Nei nove anni che separano l’avvio del progetto Adone dall’entrata in funzione della macchina, i Laboratori di Frascati sono teatro di tante storie. Quella degli scienziati e dei tecnici, per lo più giovanissimi, che hanno creduto e dato vita ad un’impresa inimmaginabile fino a pochi anni prima, è senz’altro la più affascinante.

In quegli anni nei Laboratori di Frascati si mescolavano competenze straordinarie, sia sul piano teorico, sia sul piano sperimentale, ingegneristico e tecnico. Si progettavano impianti e sistemi di rilevamento fra i migliori al mondo, capaci di sperimentare su una realtà fisica inesplorata fino ad allora e, al sorgere di impreviste “sorprese” di ogni tipo, in pochi giorni lo straordinario lavoro dei teorici era in grado di calcolare e risolvere qualsiasi rompicapo. Nelle testimonianze successive, i diretti protagonisti ricordano quel periodo come un qualcosa di “indimenticabile”.

Ma gli anni ’60 furono anche quelli del “miracolo scippato”. L’Italia vantava poli di eccellenza scientifico-tecnologici in quattro settori strategici: informatico, petrolifero, nucleare e medico. Il caso Olivetti, il caso Mattei, il caso Ippolito e il caso Marotta, sconvolsero il mondo scientifico italiano e compromisero alcuni importantissimi enti, come il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN)[6] e l’Istituto Superiode di Sanità (ISS), in un intreccio di faide politiche interne e squallidi giochi di potere, di ingerenze, pressioni e sabotaggi da parte di governi stranieri e potentissime multinazionali. Queste vicende determinarono, oltre ad un generale clima di sbigottimento nella comunità scientifica, la paralisi di un ente come il CNEN, incidendo negativamente sulle nuove assunzioni, sulla ricerca e dunque anche sulle attività interne ai Laboratori di Frascati.

In questo clima di profonda crisi dell’Università e dei laboratori di ricerca si inserisce la più importante stagione di lotta e di cambiamento che l’Italia abbia mai attraversato dal dopo guerra ad oggi. L’esplosione del movimento studentesco nel 1968 e gli scioperi e le lotte operaie del 1969 attraversarono inevitabilmente anche gli enti di ricerca a stretto contatto con le università. Lo “sciopero bianco” messo in atto a Frascati fra la primavera e l’estate del 1969 paralizzò le attività dei laboratori e contribuì a tardare ulteriormente l’inizio della sperimentazione con Adone.

I nove lunghissimi anni che ci vollero per accumulare i primi fasci in Adone, in un contesto già esacerbato dalla competizione e dalle divisioni fra i vari gruppi di ricerca, avevano affievolito l’entusiasmo e ridotto l’impegno con cui si lavorava ad una macchina che avrebbe meritato, invece, un maggiore investimento di lavoro. Quasi a presagire un qualcosa che di lì a poco si sarebbe palesato.

I primi risultati conseguiti da Adone furono interessanti. La produzione multiadronica, in particolare, rimane un’importantissima scoperta. Ma Adone era nato per andare a caccia di risonanze strette e, invece, quello che appariva nel range di energie accessibili alla macchina era una vasta piana desertica senza alcun picco rilevante.

Nessuno poteva immaginare che, dopo aver attraversato il deserto, sarebbe bastato guardare oltre l’ultima duna. Altri cinquanta passi e si sarebbero aperte le porte di una nuova era.

 

[1] E. Amaldi in (Amaldi, 1982) riporta stralci di una lettera che Wideröe gli inviò il 10 novembre 1979 sulla sua collaborazione con Bruno Touschek.

[2] Deutsches Patentman, Patentschrift Nr. 876279 Klasse 21g Gruppe 36, Ausgegeben am 11. Mai 1953: Dr. Ing. Rolf Wideröe, Oslo, ist als Erfinder genannt worden: Aktiengesellschaft Brown, Boveri & Cie, Baden (Schweiz). Anordnung zür Herbeiführung von Kernreaktionen.

[3] N. Cabibbo in (Bruno Touschek and the art of Physics, documentary film, 2004)

[4] vedi nota 2

[5] Gli appunti originali di Fermi sono conservati nell’archivio dell’Università di Chicago

[6] Diventato ENEA (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) nel 1982.

Qui potete leggere e scaricare l’intero pdf della mia tesi di laurea.

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