11 Mar 2021 Comunicare la tecnologia: un ritorno alle persone e ai loro problemi
Troppo spesso si pensa che la comunicazione tecnico-scientifica debba essere necessariamente fredda e austera per poter in qualche modo garantire l’universalità e la neutralità del messaggio che veicola. Le emozioni e i sentimenti stanno benissimo in un libro ma ingegneri e scienziati guardano con diffidenza a stili comunicativi ritenuti eccessivamente informali e temono la festosa convivialità dei social media.
Ciò su cui intendo riflettere in questo articolo è invece la necessità di recuperare un approccio umano ed emotivo alla creazione di contenuti, anche quando si scrive di prodotti e servizi ad elevato contenuto tecnologico, per mercati B2b.
Edutainment: creare contenuti per divertire e insegnare
La comunicazione tecnico-scientifica, di prodotto o aziendale, deve essere divertente e non c’è da scandalizzarsi. Il termine “divertente” (dal lat. divertĕre, «volgere altrove») non sta ad indicare che faccia ridere ma che sia piuttosto in grado di portarci in territori nuovi, distogliendo il nostro sguardo da ciò che già conosciamo e con cui ci confrontiamo quotidianamente.
Non è scritto da nessuna parte che la comunicazione di un’azienda metalmeccanica, i cui clienti siano tecnici e ingegneri, debba essere ingessata e formale, o che debba limitarsi a parlare di prestazioni tecniche, dati di targa, materiali costruttivi e modalità di trasporto e spedizione. Occorre interrogarsi in senso più ampio sulle curiosità, gli interessi, le ambizioni e le aspettative del proprio network per raccontare storie e veicolare informazioni in grado di offrire valore, tramite contenuti al contempo divertenti e istruttivi.
Quello che le aziende spesso non realizzano è che hanno molto più da raccontare del mero prodotto. Una società di architettura può ben parlare dei servizi specialistici che offre ma farebbe bene a portare la testimonianza dei tanti cantieri seguiti con successo, delle sfide e delle difficoltà superate per completare i progetti, degli spazi a cui ha dato nuova vita e che oggi sono snodi cruciali di quartieri, città e territori. E se da pochi mesi è in grado di progettare in modalità BIM (Building Information Modeling), perché non condividere il percorso che ha portato a internalizzare la nuova competenza? Dalle prime timide collaborazioni con alcuni docenti dell’Università fino all’assunzione di una nuova, giovane risorsa dedicata.
Metodologie come l’inbound marketing ci ricordano che le informazioni di prodotto interessano solo a chi è cliente o è molto vicino a diventarlo: per intercettare un numero ben più ampio di utenti occorre ampliare il ventaglio dei temi affrontati e delle narrazioni sviluppate, ad esempio attraverso un corporate blog aziendale. L’azienda può diventare mentore e formatore di chi la segue sui social o riceve ogni settimana la sua newsletter, se sa andare oltre la descrizione dei prodotti e comunicare – anche in forma didattica – le competenze e il know-how che la contraddistinguono.
Ripartire dalle persone: i volti dietro ai prodotti
Se un domani saranno intelligenze artificiali autonome e rapidissime a incrociare la domanda e l’offerta di beni, per il momento l’attività esplorativa, conoscitiva e negoziale sono ancora saldamente in mani umane. Nessuno di noi è un essere di pura razionalità e a nessuno basta leggere le caratteristiche di un servizio per realizzare una selezione completamente oggettiva.
L’homo oeconomicus teorizzato dagli economisti del secolo scorso rimane per ora relegato ai testi universitari; nel frattempo abbiamo scoperto sul campo che le scelte di acquisto sono fenomeni psico-sociali complessi, dipendenti da una miriade di fattori, che richiedono tempo e generano rimorsi.
Le informazioni che ci portano a decidere se acquistare o meno un prodotto esulano dalle mere specifiche tecniche, anche in contesti B2b: ci interessa sapere chi è l’azienda che ha sviluppato quella soluzione, qual è il processo produttivo alle spalle, i materiali e le tecnologie impiegate. Siamo sempre più sensibili ai temi della sostenibilità (ambientale, sociale, organizzativa) e vogliamo ascoltare le storie di altri come noi che hanno utilizzato il prodotto, per sapere quale è stata la loro esperienza.
Anche in ambito B2b, dobbiamo far arrivare al lettore un volto e un tono di voce preciso, umanizzando l’azienda attraverso i volti e le voci delle persone che vi operano, le loro storie, i loro percorsi e progetti: il prodotto diventa così molto più di una lista di funzioni e caratteristiche, incarna una comunità di competenze e saperi.
Il prodotto come soluzione ai problemi delle persone
Troppo spesso la comunicazione fatta da aziende di prodotti tecnologici si focalizza integralmente sulla descrizione degli attributi e delle funzionalità. Ciò costituisce un rischio. In un’economia di mercato, il prodotto rappresenta la soluzione individuata dall’azienda ai problemi di un certo gruppo di persone. Il successo di un’azienda rispetto a un competitor deriva da una migliore e più approfondita comprensione dei bisogni e delle aspettative di quel gruppo di persone.
Metodologie per l’innovazione come il design thinking hanno avuto il merito di recuperare un approccio che mette al centro l’utente nello sviluppo di nuovi prodotti. Le imprese di maggior successo sono quelle che non partono dalle proprie risorse per generare una nuova risposta alle esigenze del cliente ma invertono il processo e, partendo dalla comprensione dei bisogni dei clienti, combinano le risorse a disposizione (o ne acquisiscono di nuove) per dare vita alla migliore soluzione possibile.
Ecco allora che anche la comunicazione aziendale deve riconfigurarsi secondo lo stesso paradigma, evitando di parlare eccessivamente del prodotto di per sé, per concentrarsi invece sui problemi che risolve e su come impatta positivamente sull’operatività di chi lo acquista.
Telecamere altamente sensorizzate abbinate a sistemi di intelligenza artificiale possono essere raccontate in termini di megapixel di risoluzione video e gigahertz del processore ma per il lettore sarà più facile riconoscersi nei “casi d’uso” che hanno portato l’azienda a sviluppare una tale soluzione, adottando alcune logiche costruttive anziché altre.
Dalla sorveglianza delle piste degli aeroporti al monitoraggio della sicurezza dei lavoratori in grandi spazi industriali, passando per l’ispezione visiva della produzione, parlare dei problemi che una data tecnologia risolve sarà sempre più potente che parlare della tecnologia stessa.
È l’uso che ne facciamo, e i benefici che ne traiamo, che rendono un dispositivo elettromeccanico una “soluzione abilitante” in grado di migliorare il modo in cui persone e professionisti come noi risolvono le sfide e i problemi di ogni giorno.
Autore
Ingegnere di formazione, marketer per scelta. Lavoro a cavallo tra Università e mondo delle imprese, occupandomi di trasferimento tecnologico, innovazione e sviluppo imprenditoriale. Amo scrivere e nei piani di marketing porto il mio approccio editoriale e divulgativo.
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